Gli inventari forestali nazionali
Le foreste svolgono un ruolo essenziale negli equilibri naturali e ambientali globali e, contemporaneamente, sono utilizzate per il fabbisogno del genere umano: affinché le foreste pesino nelle strategie politiche ed economiche del Paese, bisogna prima di tutto “contare” le foreste.
Gli inventari forestali nazionali sono un’indagine campionaria periodica, tra i maggiori strumenti conoscitivi per la politica forestale e ambientale sia a livello nazionale che internazionale. Registrano lo stato delle risorse forestali di un Paese e le sue variazioni nel tempo. A questo scopo gli inventari vengono periodicamente aggiornati attraverso una rete di monitoraggio permanente in grado di fornire risultati con valore statistico.
Gli inventari forestali producono informazioni su: estensione e distribuzione della superficie forestale, specie arboree presenti, caratteri delle stazioni forestali, proprietà del bosco, forma e intensità di gestione, volume e massa legnosa, ritmi di crescita, struttura delle formazioni forestali, rinnovazione del bosco e stato di salute, etc…
Nel nostro Paese la base giuridica e finanziaria per l’esecuzione del primo Inventario Forestale Nazionale Italiano (IFNI_85) è stata la legge Quadrifoglio (Legge n. 984 del 1977) e relativo Piano Agricolo Nazionale. La campagna di raccolta dati venne eseguita tra il 1983 e il 1985 e i risultati vennero pubblicati nel 1988. Scopi e contenuti del secondo inventario forestale nazionale italiano vennero definiti nei primi anni 2000 dopo un’approfondita analisi delle esigenze informative. All’inizio del 2003 hanno avuto inizio i rilievi per il secondo inventario forestale nazionale, l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC2005) che aveva tra i principali obiettivi la valutazione delle riserve di carbonio presenti negli ecosistemi forestali.
La progettazione del terzo inventario forestale nazionale italiano (INFC2015) prende avvio nel 2012 e i rilievi veri e propri iniziano nel 2013, con il fine di aggiornare le stime ufficiali sull'estensione e la consistenza delle risorse forestali e ambientali e le variazioni intercorse nell’ultimo decennio.
INFC 2015, in sintesi
I dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi forestali di Carbonio realizzato dall’Arma dei Carabinieri con il supporto scientifico del CREA sono un termometro verde in grado di misurare la consistenza e lo stato di vitalità delle foreste e di valutare il loro contributo per mitigare la “febbre planetaria”. Concluso nei primi mesi del 2020, in sintesi racconta che la superficie boschiva nazionale è aumentata in 10 anni di circa 587.000 ettari per complessivi 11 milioni di ettari. La biomassa forestale aumenta del 18,4%. Aumenta di ben 290 milioni di tonnellate anche l’anidride carbonica (che si stima) assorbita dai boschi italiani.
GRAFICI INVENTARIO FORESTALE 2015 [FILE PDF - 1.1MB] - SINTESI_INFC2015 [FILE PDF - 66.4MB]
Parametri forestali caratterizzanti lo stato di un bosco
Per caratterizzare lo stato del bosco i parametri più in uso e dai quali si possono trarre molte deduzioni sulla situazione reale e sulla sua evoluzione sono:
- la composizione, che indica la mescolanza delle diverse specie arboree
- la provvigione che invece è un termine del “gergo forestale” che indica la massa legnosa deducibile dalle misurazioni dendrometriche, espressa in metri cubi
- la provvigione unitaria è riferita all'ettaro e quindi consente un importante confronto di sintesi tra i vari boschi; per una stessa numerosità di alberi delle stesse dimensioni (diametro tronco) è tanto più elevata quanto più alta è la statura delle piante
- la struttura riguarda la ripartizione in classi di diametro, normalmente dipendente dall'età delle piante che formano il bosco
- l'incremento infine è la capacità di accrescimento biologico del bosco e si manifesta attraverso gli anelli annuali visibili nelle sezioni trasversali dei tronchi.
Pianificazione forestale e gestione forestale sostenibile
La pianiificazione forestale organizza le attività in foresta, nel tempo e nello spazio, con l'ottica della gestione forestale sostenibile. Pianificare significa intervenire sulla base di una corretta conoscenza del territorio a livello ambientale, sociale ed economico. La gestione sostenibile è l'uso delle foreste e dei terreni forestali in un modo (e ad un ritmo) che mantengano la loro biodiversità, produttività, capacità di rigenerazione, vitalità e il loro potenziale per svolgere, ora e in futuro, le proprie funzioni ecologiche, economiche e sociali, senza provocare danni ad altri ecosistemi "
Selvicoltura “naturalistica” vs Selvicoltura “agronomica”
La selvicoltura è tra le scienze forestali l'insieme di quelle attività mirate al controllo di crescita, composizione, struttura e qualità di una foresta (per la produzione di legname ma anche per preservare nel tempo la qualità e la quantità del patrimonio forestale).
Con il crescere dell’importanza delle funzioni più “ecologiche” e legate al “Green Deal” e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, anche la pianificazione forestale, prima più orientata a scopi “economici” e di “assetto idrogeologico”, è più orientata a modellare il bosco in strutture ecosistemiche che, utilizzando le naturali risorse dell'ambiente, assicurino nel tempo la massima stabilità con le funzioni dirette ed indirette di cui sono capaci. Beni economici e servizi sociali possono essere ottenuti dal bosco solo dopo il raggiungimento di una certa capacità strutturale dei soprassuoli arborei: è un approccio più recente, che si può definire “selvicoltura naturalistica” e che cerca di conciliare i punti di vista di un'efficiente gestione (produttiva) forestale e quelli della protezione (ecosistemica) della natura e del paesaggio: la conservazione dell'ecosistema forestale gestito dall’uomo (per lasciarlo simile a quello naturali e intonso) prevale sull’esigenza del prelievo di legname per usi commerciali. Per contro, la selvicoltura agronomica privilegia le esigenze economico-produttive per la massimizzazione della resa in massa legnosa della foresta, soppesate con le esigenze di mantenimento degli equilibri ecologici, geologici e ambientali del patrimonio boschivo.
Lo spazio di manovra umana ha quindi dei limiti commisurati con le caratteristiche dei vari tipi di bosco.
Due visioni forestali
L’altra faccia della medaglia
In un articolo pubblicato su “Italian Journal of Forest and Mountain Environment” (A.Bottacci, F.Clauser) si osserva come da un lato i dati INFC2015 abbiano fatto emergere un'inattesa ricchezza delle foreste italiane, alimentando l’idea di una possibile crescita dell’utilizzazione e del prelievo; dall’altro si propone di proseguire con un approccio più prudente e conservativo “volto ad incrementare ancora la provvigione unitaria e la superficie boscata nazionale”. La discussione in atto tra gli studiosi è rivolta all’opportunità o meno di utilizzare le nostre foreste anche per la necessità di ridurre le importazioni di legname, ma non considerando che gli assortimenti legnosi di elevata qualità, richiesti dal mercato, non possano essere forniti dai boschi italiani, ancora troppo giovani, a bassa produttività e qualità.
la prospettiva del Testo unico delle foreste e delle filiere forestali
Sulla base dei risultati dell'INFC 2015 da una parte si stigmatizza il non intervento sui boschi invocando un piano pubblico contro l’abbandono boschivo e l’invecchiamento del bosco; e contro l'abbandono ed invecchiamento si invoca da molte parti una maggiore utilizzazione. Secondo queste posizioni è preoccupante il fatto che nel 37,4% delle superfici, appartenenti alla categoria “bosco”, non vi siano interventi selvicolturali, a causa di un eccesso di approccio “selvicolturale ecologico”. Il mondo forestale appare quindi diviso tra chi propone subito l’avvio di una selvicoltura attiva (come peraltro previsto nel D.Lgs.34/2018 Testo unico delle foreste e delle filiere forestali) e chi invece richiama al pericolo di incrementare “qui ed ora” le utilizzazioni forestali, essendo i nostri boschi ancora lontani da provvigioni che permettano una vera selvicoltura economica: la minaccia, secondo queste posizioni, per le foreste è il sovrasfruttamento che ne riduce estensione, biomassa e, soprattutto, biodiversità (Bouget et al., 2012; FAO e UNEP, 2020).
Per contro, dall’altra parte si osserva che i dati sintetici INFC 2015 indicano sì l'aumento della superficie forestale (i 586.925 ettari in più rispetto a INFC2005) ma andrebbe anche osservato che per il 44,45% (260.939 ettari) questo è dovuto ad arbusteti e boschi di neoformazione, che, dal punto di vista della produzione legnosa non hanno nessuna importanza (almeno per il momento). Considerando la scarsità dei rimboschimenti effettuati in Italia, i restanti 325.986 ettari sono costituiti da boschi giovani appena passati dalla categoria “altre terre boscate” alla categoria “boschi” nell’ultimo inventario, quindi anche essi di scarso interesse dal punto di vista produttivo. Focalizzando poi sulla sola categoria “bosco” (altezza degli alberi a maturità superiore ai 5 metri, estensione minima 5.000 mq, copertura di specie arboree >10%) va osservato che questa categoria è già di per sé molto variegata (comprendente aree momentaneamente prive della copertura, zone percorse dagli incendi, radure, ecc.), ed occupa circa il 31,5% della superficie nazionale. Dato molto al di sotto della media europea, che si attesta intorno al 37,7% del territorio comunitario. L’inventario ha stimato una provvigione media nazionale pari a 165,4 mc/ha. Questo è indice di boschi giovani e/o scarsamente produttivi. Fanno eccezione alcune realtà, che si avvicinano di più ai parametri dei paesi europei forestalmente più importanti, come l’Alto Adige con un valore di 343,3 mc/ha e la provincia di Trento con 302,1 mc/ha.
Quest’ultimo dato mostrerebbe, sempre secondo l’articolo pubblicato su “Italian Journal of Forest and Mountain Environment” (A.Bottacci, F.Clauser) come una politica di risparmio e di gestione conservativa, iniziata in Trentino nella seconda metà del ‘900 stia cominciando solo adesso a dare risultati positivi. I boschi trentini hanno sostanzialmente raddoppiato il loro volume dalla fine degli anni ’50 ad oggi. Al contrario la Sardegna, che risulta la regione italiana con la maggiore superficie forestale, presenta invece una tra le provvigioni medie più basse d’Italia, con 65 mc/ha.
Composizione e tipi di governo nel INF2015
I risultati del INFC2015 evidenziano boschi molto semplificati, per la maggior parte ascrivibili alla categoria dei boschi puri e coetanei. Questi boschi sono meno resistenti ed hanno una minore capacità di mantenere il proprio equilibrio di fronte al variare anomalo delle condizioni ambientali. Per quanto riguarda i tipi di governo continua a prevalere il bosco ceduo (42,3%) al quale si aggiunge il 15,3% di superfici boscate non definite. Molti di questi boschi governati a ceduo (56,8%) hanno raggiunto ormai età superiori ai 50-60 anni, o per scelta colturale di avviare attivamente o naturalmente a fustaia, o per antieconomicità degli interventi.
Alcune possibili conclusioni
I boschi italiani si stanno risollevando con fatica, ma anche con tenacia, da un lunghissimo periodo di sovrasfruttamento che li aveva portati, nell’immediato secondo dopoguerra, al minimo storico di diffusione e provvigione. Il processo di miglioramento è in atto ma, sempre secondo l’articolo pubblicato su “Italian Journal of Forest and Mountain Environment” (A.Bottacci, F.Clauser) salvo positive eccezioni molto particolari, saremmo ancora lontani da valori tali da permettere una selvicoltura economica. Le foreste italiane, descritte dai dati dello INFC2015, mostrano di necessitare ancora di una selvicoltura ecologica su cui basare le scelte future di politica forestale.