Il gatto è un predatore con un possibile impatto sulla conservazione della biodiversità? É da tenere sotto controllo nell’ambito della gestione faunistica regionale? Possiamo considerarla una specie invasiva alloctona (ovvero “aliena” o esotica ossia trasportata e introdotta in ambito naturale, per l'azione diretta o indiretta dell'uomo)? A queste domande cerca di rispondere questo approfondimento, con alcune premesse che spiegheranno perchè e quanto la custodia responsabile dei gatti (tenerli in casa anche di notte) contribuirebbe a prevenire danni alla fauna selvatica autoctona. Poi il problema emergente delle “colonie feline”, spesso in contesti ambientali delicati o in vicinanza di zone umide o parchi.
La domesticazione
Gli animali domestici che oggi conosciamo sono il risultato di una lunga selezione operata dall’uomo nel corso dei millenni. Una selezione inter-specifica (tra diverse specie) ed intra-specifica (razze diverse della stessa specie) ancora in corso, su un gran numero di specie selvatiche. Tra tutte, solo alcune sono state effettivamente addomesticate, in particolare quelle con maggiori garanzie in termini di facilità di gestione e contemporanea produzione di carne, latte, lana, uova, pelle o ancora affiancamento nella caccia o nel lavoro quotidiano, piuttosto che nel controllo delle vitali scorte alimentari, o semplicemente come animali da compagnia. L’antenato dell’attuale cane domestico, ad esempio, probabilmente un lupo eurasiatico, è stato forse il primo animale addomesticato ad affiancare l’uomo cacciatore-raccoglitore, in un periodo non meglio databile tra i 20.000 ed i 40.000 anni A.C. La domesticazione dell’antenato del cane è stata relativamente semplice: l’etologia dei lupi è molto simile a quella della nostra specie - una forte socialità e vita di gruppo con precise gerarchie interne.
Il gatto: una domesticazione ancora incompleta
La domesticazione del gatto sembrerebbe invece molto più recente, tanto che alcuni studiosi ritengono questo processo ancora incompleto. Prove anatomiche e genetiche hanno accertato la filogenesi del nostro gatto dall'antenato selvatico Felis libyca o gatto fulvo, una specie ancora diffusa in ampi territori con diverse sottospecie eurasiatiche attualmente riconosciute. Proprio dal confronto genetico è risultato che il DNA dei nostri amici domestici è praticamente indistinguibile da quello del gatto selvatico mediorientale (Felis libyca libyca), una delle sottospecie del gatto selvatico fulvo come lo è anche il gatto selvatico sardo (Felis libyca sarda). Questo testimonierebbe che il gatto domestico (Felis catus) derivi dai gatti selvatici mediorientali e che la domesticazione di questa specie sia avvenuta proprio nella Mezzaluna fertile tra il sud della penisola Anatolica (Turchia), il Sinai, Israele e la Mesopotamia, dove si riscontrano le prime testimonianze di società umane stanziali ed agricole, per le quali la conservazione delle derrate alimentari diventava vitale: in questa attività (contrasto a topi e altri competitori) il gatto divenne prezioso alleato dell’uomo.
Caratteristiche etologiche del gatto
Dunque, l’avvicinamento del gatto all’uomo è molto più recente rispetto al connubio uomo-cane e sicuramente successivo alla rivoluzione neolitica, datata circa 12.500 anni fa. Questo è dovuto anche alle caratteristiche etologiche del gatto selvatico che rispetto al cane, non ha un naturale comportamento gregario né una socialità gerarchizzata, per cui l’avvicinamento è stato più lungo e difficile, anche per una maggiore distanza “psicologica” tra noi e il gatto. Proprio per la recente e non completa domesticazione, il gatto ha mantenuto praticamente immutate le sue caratteristiche etologiche di eccezionale ed agile piccolo predatore. Caratteristiche che, per una gestione “ecosostenibile” di questa specie, suggerirebbero di evitare che possa esercitare indisturbato il suo naturale istinto killer a carico di qualsiasi animale (uccelli, mammiferi o rettili) di dimensioni tali da essere facilmente predato.
Il rapporto preda-predatore e l’equilibrio naturale
In natura i predatori svolgono un importante compito: il controllo delle specie sia dal punto di vista numerico che sanitario e, di conseguenza, un ruolo anche nel mantenimento della biodiversità. Ecologicamente si viene a creare un equilibrio tra prede e predatori: le densità di popolazione dei predatori e delle prede subiscono delle fluttuazioni nel tempo e sono intimamente connesse tra loro. Questo meccanismo favorisce la selezione naturale reciproca, eliminando gli individui più deboli o malati, contenendo le epidemie e sviluppando individui sempre più competitivi e abili.
Al di fuori delle dinamiche naturali
L’apporto alimentare del gatto è direttamente fornito dall’uomo, per cui anche il numero degli individui non ha nessuna correlazione con l’abbondanza di prede. Contrariamente all’andamento naturale, spesso il numero di gatti domestici (predatori alloctoni nel nostro ambiente) cresce anche in una situazione di grave calo numerico delle sue prede. A questo si aggiunge il fatto che il gatto domestico viene spesso introdotto dall’uomo in contesti ecologici fragili dove i piccoli animali (rettili, uccelli, mammiferi, anfibi, potenziali prede) non hanno potuto sviluppare nessun meccanismo di difesa da un predatore non evolutosi nello stesso ambiente.
La conservazione della biodiversità: alcuni studi sull’impatto del gatto
Il gatto non distingue tra specie comune e specie minacciata, per cui la predazione mette a rischio di estinzione molte specie autoctone di uccelli e rettili.
In Australia
Dal punto di vista della conservazione della biodiversità questo è un problema grave. Si calcola (per difetto) che in tutto il mondo il numero di gatti "domestici" sia superiore ai seicento milioni di esemplari, diffusi dall’uomo in ogni continente, comprese isole ed ampie aree dove non erano presenti felini autoctoni, come l’Australia. Proprio da uno studio effettuato in Australia nel 2017 si è stimato che i gatti “domestici” uccidano ogni anno 377 milioni di uccelli (oltre 1 milione al giorno!) appartenenti a più di 330 specie autoctone, pari a circa la metà di quelle nidificanti in questo continente, e circa 649 milioni di rettili.
In U.S.A.
Anche negli Stati Uniti d'America il problema è all’attenzione dell’opinione pubblica. In uno studio dello Smithsonian Conservation Biology Institute in collaborazione con l'U.S. Fish and Wildlife Service è risultato che ogni anno verrebbero uccisi dai gatti 3,7 miliardi di uccelli e 20,7 miliardi di piccoli mammiferi (soprattutto topi, conigli e toporagni). La pressione del gatto domestico sulla fauna selvatica sarebbe tra le principali minacce (sempre legate all'uomo) per la fauna selvatica del Nord America, molto superiore alla mortalità determinata dalla caccia, da incidenti con auto, collisioni con strutture create dall'uomo e agenti chimici.
In Italia
Anche in Italia - paese europeo più ricco di biodiversità e dove i gatti sono animali domestici molto popolari - diversi studi attestano che il Felis catus debba essere considerato una delle minacce più gravi per la conservazione. Da uno studio pubblicato nel 2019 su Frontiers in Ecology and the Environment da Emiliano Mori, Mattia Menchetti, Alberto Camporesi, Luca Cavigioli, Karol Tabarelli de Fatis, Marco Girardello (License to Kill? Domestic Cats Affect a Wide Range of Native Fauna in a Highly Biodiverse Mediterranean Country) il team di ricercatori ha raccolto numerosi dati sull’impatto dei gatti, provenienti da 377 località (aree rurali e urbane) in tutta Italia, dal livello del mare alle zone montuose, avvalendosi della citizen science per ricavare informazioni sulle predazioni sulla fauna selvatica ad opera di 145 gatti appartenenti a 125 proprietari, seguendo per 1 anno 21 di questi 145 gatti e registrando tutte le prede che hanno portato a casa. Dai dati è emerso che in Italia i gatti domestici hanno ucciso individui appartenenti a 207 specie tra cui 34 sono elencate come “Minacciate” o “Quasi minacciate” nelle liste rosse IUCN e italiana. Le prede preferite sono risultate uccelli e piccoli e mammiferi come i passeriformi e i roditori, tuttavia, la predazione è stata attestata anche a carico di rettili ed anfibi. Oltre a questo, i ricercatori hanno rilevato che anche il prelievo di specie più abbondanti, da parte del gatto domestico, può costituire un fattore di competizione rispetto ad altre specie carnivore che meritano misure di conservazione e la cui dieta si basa proprio sulle specie uccise dai nostri gatti.
Randagismo felino ed effetti collaterali della mancata custodia del gatto
Più in generale è emerso da questo studio che, anche in Italia, i gatti, liberi di muoversi all’esterno delle mura domestiche (free-ranging) possono compromettere seriamente la conservazione di specie selvatiche minacciate, soprattutto quelle già in declino per altre cause, tra cui la perdita di habitat. La mitigazione degli impatti dei gatti domestici sulla fauna selvatica richiederebbe una campagna di sensibilizzazione e divulgazione che promuova una diffusa presa di coscienza rispetto al problema dell’aumento del numero dei gatti e la gestione responsabile di questi animali, non solo da parte dei proprietari ma anche da parte delle autorità locali.
Le Colonie Feline e il loro impatto Ecologico
A questo riguardo è importante segnalare un problema emergente, dato dal crescente numero delle cosiddette “colonie feline” - anche in contesti ambientali delicati come le zone umide o i parchi cittadini.
Dal punto di vista ecologico si tratta di un’aberrazione, posto che in condizioni naturali il progenitore del gatto domestico non costituirebbe colonie o gruppi numerosi, essendo specie territoriale non gregaria. Di contro, l’impatto in termini biologici di queste “colonie” è devastante, soprattutto in aree con presenza e/o nidificazione di specie minacciate.
Un altro effetto collaterale: Cornacchie e gabbiani
Inoltre la pratica diffusa di alimentare i gatti in ambiente extra-domestico comporta che altre specie, in particolare corvidi come le cornacchie (Corvus cornix) e gabbiani reali (Larus michahellis) approfittino dello stesso apporto alimentare, fattore che contribuisce a determinare la crescita di queste popolazioni selvatiche ugualmente causa di gravi scompensi ecologici e ulteriore pressione sulle specie già minacciate.
Per le considerazioni fatte, preoccupa che nei parchi urbani o nelle aree protette non vi sia tanta attenzione ai gatti liberi di vagare (e cacciare) all’interno, quanta giustamente ne viene data al controllo dei cani (a volte vietandone esplicitamente l’accesso).
UNA QUESTIONE IMPOPOLARE MA IMPORTANTE: IL CONTROLLO DEL FREE-RANGING dei gatti
Concludendo, va sottolineato che un’azione combinata di controllo del randagismo e la custodia responsabile (tenere i gatti in casa anche di notte) da parte dei proprietari, contribuirebbe a prevenire danni importanti alla fauna selvatica autoctona.