Ortuabis e gli antichi sentieri

10 Luglio 2008
Is Pinnazzus

La foresta di Ortuabis o “Su Cumonali” come viene chiamata dai meanesi è rinomata per i suoi luoghi di grande fascino nascosti tra i lecci e i lentischi, per “Is Pinnazzus” ricoveri in pietra utilizzati dai pastori, per le “aurras” o ricoveri per maiali e per “is forrol de calcina” o fornace della calce, segno indelebile delle attività industriali del passato. Di proprietà del comune di Meana Sardo, il complesso è direttamente gestito e curato dall’Ente Foreste della Sardegna che, in sinergia con lo stesso comune, ha iniziato un processo per la valorizzazione del territorio attraverso la costituzione di siti e percorsi tematici a fini turistici.

Le fornaci della calce
Lungo i sentieri, tra l’intricatissima macchia mediterranea ed il bosco, è possibile scorgere angoli incontaminati dove sono evidenti i segni del passato che testimoniano il duro lavoro dei carbonai e delle squadre di operai (uomini, donne e bambini) detti “calcinagius” che avevano il compito di costruire e alimentare le fornaci della calce.

La piccola industria delle pietre bianche, funzionante sino agli anni ’60, ha la forma di un piccolo nuraghe e un’altezza che può raggiungere anche gli 8-10 metri; la capacità di questa piccola realtà produttiva nell’arco di un mese era di circa 650-700 quintali di calce. Il prodotto finito o calce spenta veniva trasportato sulle spalle mediante l’ausilio de “is coffasa” (particolari gerle da mettere sulle spalle per il trasporto) e caricato sui classici carri a buoi o sui primi autocarri che provvedevano al trasporto nei paesi del Campidano o della Barbagia. Per evitare gravi ustioni gli operai utilizzavano come protezione su “is tidilisi” una sorta di sacco ben arrotolato da adagiare sulle spalle.

La scelta del luogo dove erigere le antiche fornaci richiedeva uno studio propedeutico dettagliato nel quale si analizzavano diversi parametri (sia di ordine pratico che logistico) come l’abbondanza nelle immediate vicinanze di materia prima da lavorare, la possibilità di reperire enormi quantità di frascume necessarie per alimentare il fuoco di cottura del materiale lapideo ed infine la presenza di una montagna per incassare almeno parzialmente il forno al fine di evitare crolli e dispersione di calore.

La fase di riempimento del forno era la più faticosa poiché si provvedeva alla raccolta ed al trasporto per lo più a spalla del materiale (una squadra di operai si occupava della materia prima mentre una seconda squadra si occupava del legnatico). Terminata la fase di raccolta si procedeva all’accensione del fuoco nel fornello appositamente predisposto.

A ridosso del forno veniva allestito un piccolo ambiente utilizzato dagli operai come riparo sia nei mesi estivi che invernali. Il lavoro di cottura proseguiva ininterrottamente fino a quando una piccola porzione di materiale lapideo fondeva legando saldamente in un’unica massa amorfa tutto il pietrame posto all’interno del forno. Passati alcuni giorni, si provvedeva alla frantumazione della massa cotta e al suo sminuzzamento.

Il lavoro e la fatica sostenuta dagli operai era immane; infatti, per portare a compimento il processo di cottura di un solo forno, era indispensabile la manodopera di 15-20 persone per un intero mese sia di giorno che di notte.

Le antiche fornaci, piccoli gioielli di archeologia industriale, sono uno strumento importante per capire e studiare il passato più recente della nostra attuale civiltà industriale. “Is forrol de calcina” rappresentano un’importante testimonianza e come tali conservate perché fanno parte della cultura e delle tradizioni della nostra isola.

Attualmente l’Ente foreste della Sardegna, di concerto con gli enti locali, associazioni e privati, sta predisponendo una serie di interventi diretti al ripristino della sentieristica rurale, finalizzati ad assicurare direttamente la massima fruizione ecologico sociale del patrimonio naturalistico-storico-culturale della Sardegna attraverso la redazione di un programma unitario, condiviso e integrato.

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