Domo Andesitico di Acquafredda, Siliqua
Sorge al margine meridionale della Piana del Cixerri, allo sbocco di una valle fluviale (Riu de Sa Schina de Sa Stoia). E’ costituita da andesiti originatesi dal vulcanismo del terziario. La copertura vegetale è data nelle parti alte da macchia con lentischi, olivastri, euforbia e smìlace, nelle parti basse da un bosco artificiale di eucalipti e conifere. Si ergono pittorescamente in cima al domo i ruderi del castello costruito nel 1274-1275 dalla famiglia pisana dei Donoratico della Gherardesca e dove, secondo la leggenda, sarebbe stato rinchiuso il conte Ugolino (Castello di Acquafredda o del Conte Ugolino). Il luogo rappresenta una nicchia ecologica insostituibile per pipistrelli, piccioni terraioli, rapaci notturni e per il falco grillaio, specie a forte rischio d’estinzione.
Organismo di gestione: Comunità Montana n. 19 Sulcis Iglesiente
Provvedimento istitutivo: D.A.R. 3111, 02.12.93
superficie a terra: (ha) 20,88
superficie a mare: (ha) 0
Interesse culturale:
l termine geomorfologico domo risale ad una proposta del geologo J. W. WILLIAMS, che negli anni Trenta lo riprese da SCROPE, il quale lo aveva adoperato per indicare simili strutture vulcaniche coniformi dell’Alvernia. DELLA MARMORA riporta in disegno il profilo del colle, sul quale si notano i resti delle mura e della rocca (alla fig. 102, p. 444, Parte terza di Viaggio in Sardegna) e ricorda anche altri colli simili come struttura: Monte Tujoni (o Truxioni), Monte del Castello di Gioiosa Guardia, con ossatura trachitica, e Monte Exi. La roccia che compone il Colle è stata utilizzata in costruzioni del villaggio di Siliqua. Oltre che il nome di Castello di Acqua Fredda (o Acquafredda), che l’ANGIUS riferiva essere connesso alla presenza di una sorgente di acqua fresca alla base della collina, si è usato e si usa anche quello di Castello di Siliqua. Vicini toponimi ad esso collegati sono Riu di Casteddu e Isca su Casteddu, prato acquitrinoso del Castello di Acquafredda (MIGLIOR, 1987). Menzionato dal Fara, colpì l’attenzione del VALERY (1837) che ricorda il ”Castello di Siliqua”, con il roccione elevato sul quale si stagliavano le sue reliquie. Il geomorfologo PELLETIER (1960) riferisce che una volta l’anno presso il Castello si tiene una festa degli abitanti di Siliqua. I rilievi vulcanici isolati sono spesso stati utilizzati per opere difensive o come luogo sacro. In quest’area vanno a questo proposito ricordati, oltre al castello dell’Acquafredda, quello di Gioiosa Guardia e anche Monte Exi, dove il toponimo Rocca de su Sennori ricorda certo una postazione di difesa. Presso Siliqua, sulle lave della collinetta di S. Giuseppe, sorge la chiesa omonima. È del tutto fantastica la leggenda, riportata da CAREDDA (1992), che nel castello sarebbe stato rinchiuso il conte Ugolino con i suoi due figli e tre nipoti in seguito ad una rivolta popolare. Le rovine del Castello, costruito dalla famiglia pisana Donoratico della Gherardesca, si conservano sul versante meridionale e sulla cima. Esse contribuiscono non poco alla celebrità del sito, menzionato in tutte le guide e carte turistiche della Sardegna. Il castello faceva parte, insieme alla rocca del Monte Gioiosa Guardia, di cui resta molto poco, del sistema difensivo creato dai Pisani attorno all’area mineraria. La cinta muraria esterna, crollata in alcune parti, contiene ancora fabbricati in origine destinati ad alloggi, magazzini, stalle, frantoi, mulini e cisterne per l’acqua. Ai piedi del domo, ad E, sorge la Chiesa di S. Barbara di Acquafredda che venne donata ai monaci Vittorini di Marsiglia nel 1094 da Costantino, régolo di Cagliari. La costruzione del Castello, in assenza di documenti certi, si fa risalire agli anni 1274-75 sulla base di particolari elementi architettonici e di importanti avvenimenti storici del periodo. Il signore del Castello, Ugolino della Gherardesca, per ragioni politiche da ghibellino si fece guelfo e diventò signore di Pisa. Nel 1274-75 il conte Ugolino venne imprigionato e cacciato da Pisa per non aver pagato a quella repubblica il tributo dovuto per il possesso dei suoi feudi in Sardegna. Dopo complesse vicende politiche, nel 1731 il feudo dell’Acquafredda passò a Don Cristoforo Bon Crespi. Con un diploma datato 29 novembre 1785 il re Vittorio Amedeo III riconobbe a Don Giachino Bon Crespi il marchesato di Siliqua, compreso il castello di Acquafredda. Nel documento per la prima volta si fa riferimento all’inabitabilità del castello. L’erede di Don Giachino, Stefano, morì senza figli il 31 marzo del 1819. Con l’investitura del feudo per diploma sovrano a Giasselmino, fratello di Stefano, nel 1821, si perde ogni notizia del castello di Acquafredda, che giocò un ruolo molto importante nella storia militare e politica della Sardegna. Nella torre sono ancora visibili diverse cisterne con volta a botte e pareti intonacate. Una camera-cisterna, con volta a botte interrata, alta circa 4 m, costituisce un’importante opera di ingegneria che consentiva la raccolta, la decantazione e la depurazione dell’acqua, poi conservata in un pozzo sottostante. L’ANGIUS riferisce che ai suoi tempi i resti del castello e delle opere connesse erano ancora notevoli (tre cameroni a volta, alcune cisterne e parti delle mura). L’accesso difficile ha fatto si che non sia mai stato preso con le armi, cosicché solo il tempo e l’incuria sono stati responsabili della sua distruzione. Nei pressi, l’abitato di Siliqua conserva alcune chiese interessanti, in parte urbane e in parte rurali, ed esempi della casa a corte del Campidano.
Tutela e valorizzazione:
La Soprintendenza ai Beni AAAS delle Province di Cagliari e Oristano ha in corso il restauro delle strutture murarie superstiti del maschio e il Comune di Siliqua sta consolidando la struttura muraria esterna per arrestarne il degrado, che se proseguisse finirebbe col togliere al colle gran parte della sua attrattiva. Crolli paziali si sono prodotti anche nel 1993. Il domo appare di per sé molto stabile. La sua ascesa può farsi lungo un sentiero mal tracciato sul versante N, di cui non si effettua alcuna manutenzione. Sarebbe tuttavia meglio non modificare le condizioni di ascesa, sia per non recare disturbo alla fauna ornitica che trova qui una nicchia insostituibile e alla vegetazione, sia per evitare ai turisti condizioni di pericolo per l’impervietà del luogo e il rischio di crolli delle opere murarie. Un’operazione di ricostruzione storico-ambientale potrebbe eliminare gradualmente la forestazione effettuata con essenze esotiche (pino, eucaliptus) nella fascia circostante, per sostituirla con essenze locali.
Emergenza naturale e ambiente:
Il domo lavico dell’Acquafredda, che divide il nome con il sovrastante Castello, per la sua posizione singolare allo sbocco della valle del Riu de Sa Schina de Sa Stoia, dove occupa una superficie di 20 ha, è la più eminente fra le strutture vulcaniche allineate al margine meridionale della Piana del Cixerri. Il domo, con la sua altitudine da 80 a 253 m slm, non è che la terza in ordine di altezza, ma per la posizione topografica e la forma è la più spettacolare. L’edificio vulcanico è costituito da andesiti, lave massive a struttura porfirica con grossi fenocristalli di plagioclasio zonato ed anfibolo (orneblenda). La presenza dell’anfibolo indica che il magma era ricco e saturo in acqua, con pressioni di cristallizzazione sicuramente superiori a quelle delle andesiti s.s., povere d’anfibolo, affioranti in altre parti dell’Isola (COULON, 1977). Il domo lavico si è formato per raffreddamento e consolidamento rapido di lava, che, spinta dal basso all’uscita di una bocca vulcanica, per la sua viscosità si è ammassata sul posto senza espandersi in superficie. L’attività eruttiva viene da alcuni fatta risalire al Terziario. Due datazioni eseguite dal SAVELLI (1975) col metodo K-Ar mostrano un’età di 27,6 e di 27,8 milioni di anni. Il domo emerge dai depositi detritici che ricoprono la valle del Rio Cixerri, al margine meridionale del suo tratto mediano. La compattezza della struttura cupoliforme aumentava la sicurezza del castello medievale costruito sulla cima dai conti della Gherardesca per difendere la vallata e del quale rimangono le rovine. L’accesso alla cima infatti non può avvenire se non risalendo a piedi uno dei due valloncelli che, orientati in senso meridiano, corrispondono ai piani di sbancamento più evidenti lungo le direzioni SE - NO e SO - NE. L’andesite, scabrosa per la sporgenza di grossi cristalli feldspatici, si presenta sul versante N sforacchiata da cavità prodotte dall’erosione eolica. Circondato alla base da un bosco artificiale di eucalipti e conifere, il colle presenta più in alto macchia con lentischi, olivastri, euforbie e similace. Il carattere di rarità di questa emergenza deriva anche dal contesto geologico e paleogeografico in cui si inserisce. Il domo si situa nella parte mediana della valle del Cixerri, ritenuta unica in Italia per le testimonianze delle più antiche fasi continentali del Paleozoico (MAXIA, 1935). L’unità paesaggistico-naturale di appartenenza è quella dei conetti vulcanici - aguilles (cioè guglie) andesitiche di tipo peleano - che costellano il lato meridionale della depressione tettonica del Cixerri, nonché i margini della fossa campidanese. La Valle del Cixerri, che si allunga per circa 30 km in direzione E - O, ha avuto sostanzialmente una genesi tettonica, essendosi impostata su un Graben o fossa tettonica, formatasi per lo sprofondamento di alcuni blocchi dell’imbasamento scistoso paleozoico rispetto ai pilastri dei rilievi che la delimitano attualmente. I rilievi scistoso-calcarei paleozoici sono orlati da una fascia di detriti di pedemonte, costituiti da grandi conoidi di deiezione modellati in una successione di ampi terrazzi, riferiti a diverse idrografie del Pliocene - Quaternario. Nelle incisioni dei depositi terrigeni continentali del fondovalle affiorano la “Formazione del Cixerri” e alcuni edifici coniformi di vulcaniti oligo - mioceniche. La “Formazione del Cixerri” è in prevalenza costituita da arenarie quarzose grigio-violacee, bianco - verdastre o rossastre, spesso conglomeratiche, alternate a marne ed argille siltose ben stratificate. Essendo discordante sul Paleozoico e sul Mesozoico, essa viene dalla maggior parte degli autori attribuita all’Oligocene e rappresenta comunque il tetto del “Lignitifero”, di età eocenica. È ricoperta dalle vulcaniti pre-mioceniche (PECORINI e POMESANO CHERCHI, 1969). Alcuni coni vulcanici sono isolati (Monte Exi, Monte Gioiosa Guardia, Monte Truxionis e l’Acquafredda), altri si presentano raggruppati: ad oriente di Siliqua si addensa una decina di edifici vulcanici (Monte S’Ega Sa Femmina, 253 m, Punta Sa Pibionada, Monte Niu de Crobu, Monte Idda, Punta de Su Ferru, ecc). Il rilievo vulcanico, le cui forme hanno una notevole freschezza, si presenta in giacitura anomala in riferimento ai rilievi scistosi circostanti, rispetto ai quali appare morfologicamente estraneo. Il geologo Carmelo MAXIA, parlando a Cagliari al congresso geografico del 1934, paragonò questi conetti a ”sentinelle avanzate nel piano”. Egli vi individuava tre distretti: eminenze situate lungo il bordo meridionale della valle, da M. Exi a M. Truxionis, alcune corrispondenti a filoni e spuntoni andesitici, altre a cupole trachi - andesitiche isolate, tra queste appunto il Domo dell’Acquafredda. Il secondo distretto, formato da emergenze poco evidenti a prima vista, si trova tra Domusnovas, Siliqua e Vallermosa in corrispondenza di un’altra frattura che corre parallela a quella di Monte Exi, e i cui rilievi, oggi smantellati, rappresentano probabilmente la testimonianza dell’ultima fase eruttiva nella valle del Cixerri. Un terzo raggruppamento si trova sul bordo occidentale del Campidano, ed ha la sua sommità nel Monte Idda. Consiste di cime coniche che si alzano sulla pianura di 100-150 m e si addensano proprio dove convergono le fratture delle due fosse del Campidano e del Cixerri. Le eruzioni più recenti (Pliocene) in quest’area hanno diventata un lago. L’erosione fluviale, ripresa in seguito al sollevamento di età pleistocenica - e forse tuttora in corso - ha successivamente inciso lo sbarramento, terrazzando le alluvioni precedenti. Di un certo interesse la fauna ornitica che abita il colle: piccioni torraioli, rapaci notturni, pipistrelli e soprattutto falchi grillai, una specie a forte rischio d’estinzione. Adiacente al previsto Parco Naturale del Sulcis, uno dei più importanti dell’isola e non lontano dal parco comunale di Monte Orbai, ricco di circa 1.000 ha di foreste e dei resti dell’omonima miniera, il Domo dell’Acquafredda trova entro breve raggio ampi potenziali di valorizzazione. Da ricordare la vicina oasi naturalistica WWF di Monte Arcosu e S’Ortu Mannu di Villamassargia, un oliveto del XIII secolo, dove l’esemplare più vecchio di olivo misura una circonferenza di 15 m. Nei pressi si trovano alcune sorgenti termali: DELLA MARMORA descrive quella di Zinnigas, analoga, come riferimenti geo-strutturali, a quella di Acquacotta (contatto terreni siluriani/trachitici). Una proposta di protezione è stata avanzata anche per il conetto di Monte Exi.