Monumento naturale di Perda 'e Liana (Gairo)
Tipica formazione rocciosa, chiamata taccu o tònneri nel dialetto locale, e costituisce in Ogliastra il più importante testimone d’erosione dell’antica copertura calcarea del Giurese e del suo substrato.
Ha un profilo composito: in alto, un maestoso torrione cilindrico calcareo-dolomitico, le cui pareti sub-verticali appaiono suddivise in regolari blocchi prismatici per la disposizione ortogonale delle linee di frattura (h 50 m, diametro 100 m); alla base, una formazione tronco-conica conglomeratico-arenacea, termine inferiore della serie mesozoica, si sovrappone al basamento, costituito dallo zoccolo compatto degli scisti paleozoici (1100-1190 m slm).
Perda Liana (o Perda Iliana) è inserita in un contesto paesistico dei più straordinari e selvaggi ed è un punto di riferimento visibile a grande distanza.
Descrizione ed informazioni generali
La Perda rappresenta la propaggine più settentrionale dell’altopiano dei Tònneri, dal quale dista appena 2 km e cui si raccorda con la sella di s’Arcu ‘e su Pirastu Trottu (a circa 1.000 m slm).
L’altopiano circostante Perda ‘e Liana rientra nelle terre comuni di uso civico di Gàiro. Il pascolo vi è stato esercitato sino a due anni fa e appena da un paio d’anni prima data l’interruzione del taglio di legna da ardere, il principale combustibile per il riscaldamento domestico nella zona. Di conseguenza la vegetazione arborea è stata molto compromessa.
Dati sul monumento naturale
Organismo di gestione: Comunità Montana n. 11 Ogliastra
Provvedimento istitutivo: D.A.R. 705, 29.04.93
Superficie a terra: (ha) 22,30
Superficie a mare: (ha) 0
Interesse culturale:
Del nome sono diffuse anche le varianti Perda Liana e Perdaliana, l’ultima usata da DELLA MARMORA. Il termine perda indica uno spuntone roccioso isolato e liana viene da alcuni riferito agli Iliensi, lo strato etnico più antico che ha popolato l’interno dell’Isola, da altri viene invece interpretato come l’aggettivo ”liscia” o levigata (MIGLIOR, 1987). Non è però escluso che derivi dalla parola olioni (=corbezzolo). Toponimi locali simili sono Perd’e Lione, in territorio di Belvì, e Genna Oliana. Nella zona di Seui la parola s’oliana significa ‘a solatio’. A conforto dell’ipotesi di un’origine vegetale dell’etimo, si segnalano nella zona diversi toponimi di sommità che hanno simile specificazione: Pizzu Lioni, Punta Sa Siligurgia, Pizzu ’e s’Ilixi, Pizzu Linnarbu, ecc. Forse la spiegazione più semplice è quella che l’avvicina a Oliana, variante riportata da DELLA MARMORA del toponimo Oliena. Dopotutto, per chi veniva da S, il torrione segna una direzione e quindi un itinerario, verso quella direzione. A corredo della descrizione DELLA MARMORA aggiunge un disegno della sezione geologica della Perda (cfr. Itinerario..., Parte I, p. 190), in cui la base tronco-conica appare piuttosto spoglia di vegetazione arborea, non diversamente dal suo aspetto attuale. La fauna locale era ricca di mufloni, gipeti, cornacchie di montagna. Dettagli sui problemi dell’ascensione, da lui tentata, sono riferiti da G. SPANO (Emendamenti..., p. 83). È tradizione che le tribù nuragiche si raccogliessero in consiglio alla sua base, essendo Perda ‘e Liana visibile da grande distanza. La sommità poteva essere riguardata anche come oggetto simbolico, un totem. La sua forma, su un luogo elevato, ricorda infatti lo ziqurrat, quasi un altare naturale. DELLA MARMORA, certo suggestionato da racconti di gente del posto, credette di riconoscere i resti di un nuraghe sulla cima, osservata solo da lontano, non essendo egli riuscito a salirvi. Le leggende del posto narrano che i diavoli si riuniscono a danzare al chiaro di luna alla sua base, pronti a dare, a chi vi si rechi, tutte le ricchezze del mondo in cambio dell’anima. Donde i detti popolari: Est andau a Perda Liana a si vendere s’anima a su diaulu e A sa Perda Liana su hi heres ti dana (Oliena); certamente queste credenze affondavano le radici in tempi pre - cristiani, tanto che pare che i neo - convertiti girassero alla larga dalla Perda, se vi si trovavano di notte con le greggi, per non fare cattivi incontri (TURCHI, 1984, p.23). Come si racconta spesso a proposito dei siti notevoli, anche in questo luogo si dice che fosse stato ritrovato da un pastore un tesoro, di monete cartaginesi, nascosto in un anfratto (DELLA MARMORA, Itinerario, p. 191). Nelle immediate vicinanze del Tacco di Perda ‘e Liana non si segnalano monumenti archeologici. Sono invece presenti, nella parte più alta del Tacco, numerosi fossili, tutelati dalla LN 1.089 dell’1.06.1939, che ne proibisce la libera raccolta. Nel territorio circostante, appartenente all’AFD, si conoscono diverse testimonianze archeologiche di epoca nuragica e romana. I monumenti più vicini al Tacco sono il Nuraghe Cercessa, di tipo monotorre, costruito in blocchi poliedrici di scisto, disposti a filari irregolari. All’interno sono visibili tre nicchie disposte a croce e parte della scala d’andito coperta dai crolli. Seguono il Nuraghe Anulù, impostato su un affioramento roccioso che controlla la sottostante vallata del Rio San Girolamo: da lì si domina il panorama sui tacchi e tònneri di Ussassai e Ulàssai. Il monumento ha un impianto del tipo a corridoio, che si adatta con la muratura all’ineguale morfologia della roccia. Nonostante sia coperto dal materiale crollato, vi si legge una planimetria complessa con più torri molto irregolari. Intorno al nuraghe si conservano i muri delle capanne del villaggio disposto sul pendio. Il ruscellamento delle acque di pioggia ha trasportato in tutta l’area frammenti di ossidiana e materiale fittile di epoca nuragica. Non lontano, il Nuraghe di Lardasai, vincolato con DM del 26.4.1967, F. 4, mappale 6, conserva buona parte dell’alzato. I restauri sono stati fatti in modo improprio e gli ambienti costruiti all’esterno sono stati eseguiti in tempi recenti dai pastori. Nel colle sottostante il nuraghe si conservano due tombe di giganti e altre strutture di epoca romana, alle quali sono da attribuire resti di grossi dolia, utilizzati probabilmente come contenitori di cereali. Sul Monte Tònneri, a circa 1.200 m slm, sono stati ritrovati segni di villaggi neolitici. In località Ruinas un villaggio nuragico presenta sovrapposizioni di età romana imperiale. Nel restante territorio di Gàiro esistono ancora una ventina di monumenti di età nuragica, dei quali i nuraghi Genna Masoni (F. 37 M 144, DM 9/9/1963) ed il pozzo sacro Su Presoni sono vincolati con decreto secondo la LN 1.089 del 1.6.1939. Altri villaggi nuragici, con resti di capanne, si segnalano nella località Pranu ’e Ruinas, nei quali è attestata una sovrapposizione di epoca romana. Sul Monte Tònneri, nei pressi di Pizzu Margiani Pubusa, sono i resti di insediamenti nuragici, attestati dalla presenza di materiali ceramici. Tutti questi insediamenti necessitano di ulteriori esplorazioni archeologiche e di interventi di consolidamento e recinzione. Delle poche chiese campestri un tempo esistenti nell’area resta in piedi solo la chiesa di San Cristoforo, residuo di un villaggio scomparso.
Tutela e valorizzazione:
Con la concessione all’Ispettorato Foreste della Provincia di Nuoro di un’ampia superficie (circa 3.000 ha) per forestazione, il pascolo e il legnatico sono stati sospesi. La ricostruzione del manto vegetale naturale (che è la lecceta) sarebbe ulteriormente favorita dall’inserimento dell’area monumentale nel Demanio della Foresta, praticamente confinante, che comprende l’altopiano calcareo mesozoico. L’area del monumento si trova tra due zone di salvaguardia destinate a “parco naturale con ripopolamento faunistico e rimboschimento a flora tipica spontanea” e rientra nella perimetrazione provvisoria del Parco del Gennargentu (LR 31/89). È probabile che vada a costituire una riserva orientata per la protezione faunistica, visto l’interesse della sua fauna ornitica, in particolare per i rapaci. Il torrione è soggetto ad una naturale erosione per scalzamento alla base ed arretramento della parete. Anche LA MARMORA notava la facilità con cui i frammenti si distaccavano dalle bancate di roccia, rendendone ancora più difficile la scalata. Questo processo può essere accelerato dall’erosione del suolo a seguito del sovrapascolamento. Tuttavia, per un monumento di queste dimensioni e consistenza non si intravvedono rischi di rapida demolizione. L’ulteriore apertura di strade invece costituisce senz’altro un fattore negativo dal punto di vista paesaggistico e accresce il rischio di degrado, portando un numero troppo alto di turisti presso il tacco. Da Gàiro l’accesso avviene attraverso la strada del Consorzio di bonifica - di recente apertura - che parte dalla ss 198 all’altezza di Cantoniera S’Arcerei e giunge a 200 m dalla Perda. Più antica la strada provinciale Seui - Stazione di Villagrande, in via di ripristino. Per raggiungere la Perda si può seguire un sentiero pedonale che si distacca dalla provinciale, a S della Perda, in corrispondenza del valico S’Arcu ‘e Su Pirastu Trottu, oppure si può seguire un altro sentiero, a N del monumento, dove è stato costruito uno svincolo in cemento armato. Da questa parte il sentiero è lungo circa 1 km, con un dislivello di 200 m. Data l’altitudine (1.000 m slm), d’inverno l’accesso può essere impedito dalla neve. Il fine didattico della visita al monumento è rappresentato dall’opportunità di osservare la serie del Mesozoico nell’emergenza rocciosa, anche nell’ambito di un possibile itinerario geologico dei tacchi che dia conto del complesso montano dell’altopiano giurese. Perda ‘e Liana potrebbe costituire un punto importante di un percorso che unisca la Foresta di Montarbu e il lago Alto Flumendosa alla zona delle grotte di Ulàssai e della Scala di San Giorgio di Osini. Un interessante completamento sarebbe costituito da una guida naturalistica che segnalasse le specie vegetali presenti lungo l’itinerario pedonale e alla base del taccu. L’ascensionismo in roccia è allo stato attuale poco praticato e si basa sulla segnalazione nella guida CAI. Il percorso consigliato parte dall’Arcu de su Pirastu Trottu (1.025 m) e superando un dislivello di 340 m giunge alla base della Perda. La salita può essere effettuata abbastanza facilmente fino a metà dell’altezza totale superando un passaggio di terzo grado. L’ascensione completa è solo per i rocciatori. DELLA MARMORA ne dichiarava la sommità inaccessibile, essendo egli potuto arrivare solo alla seconda cengia, pressappoco a metà della parete. L’installazione di impianti fissi per l’ascensionismo è tuttavia sconsigliabile, data la fragilità del materiale e anche per limitare l’afflusso.
Emergenza naturale e ambiente:
Il taccu di Perda ‘e Liana (1.293 m slm) è un testimone di erosione calcareo-dolomitico della copertura carbonatica del Giurese e del suo substrato. Fra i numerosi testimoni calcarei che costellano a varia distanza l’altopiano giurese dell’Ogliastra, questo è il più imponente. Il profilo composito riassume bene la complessità della sua struttura. La parte superiore calcareo-dolomitica si erge per circa 50 m come un maestoso torrione cilindrico del diametro di circa 100 m e dalle pareti subverticali, che sovrasta una base troncoconiforme modellata nella formazione conglomeratico-arenacea, termine inferiore della serie mesozoica sovrapposta in trasgressione agli scisti paleozoici. L’imbasamento della Perda rappresenta il residuo dello zoccolo compatto del Paleozoico, ripiegato dall’orogenesi ercinica e successivamente peneplanato intorno a 1.100-1.190 m slm. La formazione calcareo-dolomitica è interessata da diversi sistemi di fratture, verticali o subverticali, di direzione prevalente NO-SE e NE-SO. Per l’ortogonalità delle fratture rispetto alle superfici che delimitano le bancate, la roccia appare suddivisa in blocchi prismatici pressoché regolari, ben riconoscibili alla macro e microscala. Le discontinuità strutturali, dovute, come le superfici delle bancate, ai processi di sedimentazione marina e, come le fratture, alle deformazioni dell’orogenesi alpina, hanno guidato l’infiltrazione delle acque meteoriche e quindi lo sviluppo di forme carsiche. L’erosione che ha progressivamente isolato la Perda, e quindi modellato il suo imbasamento, è dovuta all’azione delle acque che, incanalandosi lungo le zone di frattura, hanno approfondito nel corso dei tempi le loro valli fino al livello degli alvei attuali. Il profilo di naturale declivio del rilievo, verticale nella parte superiore calcarea e variamente inclinato nella parte inferiore, modellata nella formazione conglomeratico-arenacea e nell’imbasamento scistoso, non è uniforme in tutte le direzioni. Verso NE, nella Conca ‘e Argallone, la pendenza dell’imbasamento è maggiore. Le acque dilavanti, incanalandosi vorticose nei tributari di destra del Rio Sammuccu, rimuovono il manto protettivo del detrito di falda e la parete della Perda tende chiaramente ad arretrare per trance che crollano per scalzamento della base, determinato dalla scomposizione in blocchi delle bancate calcareo - dolomitiche fratturate e incarsite. A m 1.250, si distingue una piccola grotta, lunga 6,5 m, con uno sviluppo di 10,5 m. Cespugli e arbusti crescono nelle fessure. La vegetazione presenta caratteristiche termoxerofile analoghe a quelle del Texile di Aritzo. Alla base della Perda il suolo è coperto da macchia ad Arbution, estremamente degradata. L’avifauna locale include molte specie rupicole, che, stante l’isolamento dell’area, contano ancora un certo numero di esemplari. La Perda, posta in un’area di confine fra la Barbagia Seulo e l’Ogliastra, è una delle principali curiosità morfologiche della Sardegna, punto di riferimento visibile a grande distanza, quasi un dito gigantesco teso al cielo in una zona straordinariamente panoramica. Il paesaggio è contrassegnato da una forte naturalità, a motivo sia dell’impervietà del rilievo e dell’isolamento dell’ambiente montano - specie d’inverno - sia della generale scarsa antropizzazione del settore centro - orientale dell’Isola. Il monumento appartiene all’unità paesaggistica dell’altopiano di Tònneri, uno dei due grandi altopiani calcarei, che, inclinati da NE a SO, dominano il paesaggio del Sarcidano e dell’Ogliastra incombendo con le loro bianche pareti sopra valli profondamente scavate nelle filladi quarzifere dell’imbasamento. L’antico penepiano circostante si presenta infatti dissecato da vallate profonde 2-300 m, che rappresentano il ringiovanimento dell’antica morfologia paleozoica riesumata per asportazione dei sedimenti trasgressivi mesozoici. Le valli sono generalmente impostate secondo le grandi fratture che nel Cenozoico, in concomitanza con l’orogenesi alpina, hanno variamente sollevato o depresso in blocchi l’antico penepiano e i soprastanti terreni. Solchi vallivi boscosi e impraticabili orlano altopiani carsici spogli, nei quali si aprono grotte e inghiottitoi. Tra le attrattive naturalistiche si segnalano a poca distanza l’inghiottitoio di Su Stampu di Monte Tònneri (circa 1.100 m slm) e numerose altre cavità carsiche. In queste montagne la Foresta Demaniale di Montarbu costituisce uno dei 57 biotopi individuati dalla Società Botanica Italiana: è ricca di grandi alberi, agrifogli, tassi, carpini neri, corbezzoli. S’Ilige ‘e su Canali, nei pressi di Funtana su Canali, con i suoi oltre sei metri di circonferenza, è uno dei più grandi lecci della Sardegna. Una fauna rappresentativa dell’interno montuoso dell’Isola è ancora diffusa nel suo perimetro. Il Lago Alto del Flumendosa con i boschi circostanti aggiunge pregio panoramico. Tra le emergenze geomorfologiche vanno ricordati anche i meandri incassati nella roccia della valle del Flumendosa. Al gruppo dei tacchi appartiene anche Su Campanili di Gadoni (presso Lattinalzu), pure proposto come monumento. La zona rientra nell’areale faunistico n. 4 (cfr. MASSOLI NOVELLI, 1986) “Gennargentu-Supramonte”, caratterizzato dalla presenza del muflone (Ovis ammon musimon), la cui popolazione, autoctona, è stimata fra i 200 ed i 400 individui. Presso la Caserma forestale ”Mario Falchi” di Montarbu esiste un recinto per l’acclimatazione di mufloni selvatici. Nel territorio della vicina Seui il bacino antracitifero conserva lenti di antracite e strati di argille con impronte di fossili vegetali. Il Museo della Civiltà Contadina aperto nel paese contiene anche alcuni reperti naturalistici, come un esemplare imbalsamato di una specie estinta in Sardegna, l’avvoltoio degli agnelli (Gypaetus barbatus).